Famiglia e Salute in Medicina Generale: un dibattito aperto.

Abstract

di Alessandro Addorisio, sociologo e Stefano Ivis, medico di Medicina Generale

Autori

Alessandro Addorisio, Stefano Ivis

Pur nell’incertezza dei tempi attuali, la pandemia da Covid 19 potrebbe segnare l’inizio di una nuova era di collaborazione sovranazionale per fini sanitari, con l’obiettivo di una salute che riguardi gli abitanti del pianeta. Una salute globale per la quale però occorre che ogni sistema nazione sia dotato di capacità collaborative ed evolutive nel perseguimento di obiettivi comuni. Oltre alla vaccinazione, al ricovero ospedaliero e alla gestione domiciliare, la pandemia ha costretto molti Stati, e di conseguenza i suoi cittadini, ad adottare nuove forme di cura e assistenza, dall’aiuto reciproco al distanziamento sociale e all’auto-isolamento per tutelare la salute altrui, oltre che la propria. Un modo di concepire l’idea di salute che si sposta dalla sfera individuale a quella collettiva di comunità e che mette in evidenza come un’ assistenza basata su risposte di tipo aziendalistico sia insufficiente.

La dimostrazione della profonda interdipendenza che esiste in campo sanitario non solo per i singoli Stati ma anche globalmente, è evidente considerando che il Covid 19 non sarà reso innocuo a livello mondiale se le sue varianti continueranno a diffondersi a dispetto di qualsiasi frontiera, fisica o politica. Ma anche a livello locale occorre la collaborazione fra tutti per ridurre i rischi di contagio, come ha dimostrato l’efficacia delle misure di sanità pubblica, integrandole magari con metodiche e strategie comunicative che facilitino il cambiamento culturale nei soggetti più dubbiosi o restii ad accettare tali misure.

Per valutare e approfondire queste interdipendenze è opportuno avere uno sguardo di tipo sistemico, che non si focalizzi solo sull’estremamente ampio né sul particolare circoscritto. Uno sguardo che sappia variare la propria messa a fuoco, così come fa un’ottica zoom in campo fotografico, passando dalla visione grandangolare, ampia e panoramica, al minuzioso dettaglio che permette un teleobiettivo.

Diversamente da altri approcci che si soffermano sui ruoli e sulle funzioni della famiglia, quello sistemico di tipo “eco-culturale”, che considera la famiglia come un sistema ecologico caratterizzato da una cultura specifica, ritiene che le famiglie perseguano i propri obiettivi attraverso attività di routine quotidiana e che tali attività possono, più o meno consapevolmente, influenzare le condizioni di salute. Quest’ultime infatti fanno parte di un contesto più ampio che va considerato, nel quale le famiglie agiscono per bilanciare gli obiettivi e le necessità dei singoli con gli obiettivi generali ed i valori che le ispirano. Ad esempio, l’obiettivo di procurarsi il necessario per vivere può influenzare un certo tipo di dieta o di attività fisica, basti confrontare una famiglia contadina con una che vive in un contesto fortemente urbanizzato. Allo stesso modo le credenze di tipo alimentare o religioso possono influenzare l’assunzione di alcuni cibi con evidenti ricadute sul metabolismo dei singoli membri: crescere in una famiglia vegana o che osserva rigorosamente i precetti alimentari della propria fede religiosa porta a conseguenze diverse rispetto ad altre scelte culturali.

Come Circolo della Complessità di Padova abbiamo pensato di utilizzare questo approccio sistemico nell’ambito delle Cure primarie conducendo una breve indagine avente come focus la Famiglia che per il Medico di Medicina Generale (MMG) rappresenta al tempo stesso il contesto in cui vive e agisce il proprio paziente ma anche, potenzialmente, una risorsa oppure un ostacolo per la sua attività di cura. 

Il Circolo ha successivamente organizzato un evento online durante il quale sono stati presentati i risultati della ricerca che hanno rappresentato il punto di partenza per una riflessione condivisa, con l'apporto di alcuni professionisti della cura che da varie prospettive hanno affrontato il tema della relazione fra Famiglia e Salute.

La ricerca, preceduta da alcuni focus group, è stata effettuata mediante un questionario al quale hanno risposto 72 MMG del Veneto, equamente distribuiti fra maschi e femmine, in maggioranza di età superiore ai 50 anni e quasi tutti con più di 1000 assistiti.

Fra i numerosi dati emersi, alcuni hanno stimolato maggiormente la discussione, in particolare quelli riguardanti le attività delle famiglie in relazione all’azione di cura del medico e alla fiducia nei suoi confronti, oltre al ruolo dei media e delle cerchie sociali. 

Uno dei relatori, medico di MG, ha sottolineato come la famiglia giochi un ruolo decisivo soprattutto nella cura e nell'assistenza delle persone anziane ritenendo che conoscere meglio le potenzialità delle famiglie dei suoi assistiti darebbe ulteriore contributo alla salute collettiva ed individuale. Inoltre la famiglia avrebbe un importante ruolo di “mediazione tecnologica” attraverso l’azione che i membri più giovani delle famiglie svolgono a favore degli anziani nella gestione delle comunicazioni o prestazioni del S.S.N.

Un altro medico, esperto di organizzazioni sanitarie, ha posto in evidenza l'azione di "filtro" operata dal contesto familiare rispetto ai bisogni che il singolo assistito manifesta al proprio medico, nel senso di tradurli in un certo tipo di domanda che può non coincidere con l'effettivo bisogno. A questo tipo di influenza dell’ambiente familiare occorre aggiungere quella operata dai mass-media. A tale proposito è interessante notare che nell’indagine svolta, i medici rispondenti hanno attribuito ai media una rilevanza minore rispetto alla famiglia nell’influenzare le scelte e i comportamenti dei malati.

L’importanza della trasmissione delle esperienze di malattia all’interno della famiglia è stata rimarcata dall’intervento del terzo relatore dell’evento che ha portato l’attenzione dei partecipanti sulla peculiarità del Medico di famiglia, il quale opera non in un contesto organizzato come può essere quello ospedaliero , bensì in quello familiare dove non esistono linee guida standardizzate, anche perché le famiglie degli assistiti si differenziano non solo per composizione, numerosità, cultura, condizioni economiche, ecc. ma anche perché , come i singoli individui, attraversano cicli di vita che ne fanno entità in continua evoluzione. Il lavoro del medico di MG si svolge in buona parte secondo modalità di tipo incrementale, ossia portando delle variazioni, dei cambiamenti, il più delle volte piccoli o modesti, nelle abitudini, nei comportamenti, nella gestione quotidiana della salute che, sommandosi nel tempo, danno luogo a grandi cambiamenti e risultati terapeutici altrimenti impossibili. Per poter fare tutto ciò il medico di famiglia deve coniugare la conoscenza medica e scientifica delle malattie alla capacità di relazione, di comunicazione e di analisi del contesto che non fanno parte dei programmi didattici universitari. Da qui l’importanza di portare nella Scuola di Formazione per i Medici di Medicina generale le riflessioni e le esperienze riguardo alla famiglia maturate dai colleghi più esperti. 

Un altro contributo interessante alla discussione è giunto da una sociologa, esperta di Medicina Narrativa, la quale citando il filosofo Gadamer, ha ricordato a tutti come della salute, al pari del sonno, si percepisca l’importanza nel momento della sua mancanza e forse questo spiega perché essa non rappresenti un argomento di uso frequente fra noi tutti, salvo le occasioni in cui siamo coinvolti direttamente o tramite una relazione significativa. Diventa invece l’argomento principale nella relazione con il medico curante e una delle modalità di affrontare l’argomento è quello del racconto, della storia. La Medicina narrativa mette in evidenza proprio il racconto da parte del paziente, di come egli vive la sua malattia, di quali parole si serve per descriverla, di quali analogie, metafore ed altre forme linguistiche fa uso per parlarne al medico curante. Quindi il racconto non è solo una forma più estesa di descrivere la malattia, una sorta di anamnesi particolareggiata, ma è anche, sapendolo utilizzare, uno strumento al tempo stesso diagnostico e terapeutico. La cura diventa anch’essa una storia che viene costruita assieme dal malato e dal medico e questa storia può comprendere anche altri attori, come ad esempio i familiari. In questa relazione di co-costruzione fra il medico e l’assistito gioca un ruolo cruciale la fiducia che consente un passaggio più agevole da una storia di malattia ad una di guarigione.

A questo punto della conversazione fra i relatori, è stato introdotto il tema del tempo, anzi, della variabile tempo e della sua importanza quando si parla di relazione di cura. La sostenibilità di certe pratiche curative è messa spesso in crisi dalla scarsità della risorsa temporale. Da questo punto di vista le tecnologie informatiche potrebbero consentire un risparmio di tempo da utilizzare per migliorare la qualità della relazione.

In conclusione di questo resoconto, ci sembra di poter dire che l’attuale crisi di sostenibilità della Medicina Generale appare irrisolvibile se restiamo nell’attuale paradigma della sanità, orientato soprattutto ai criteri di efficienza e di standardizzazione delle prestazioni e delle tempistiche necessarie. E’ necessario perciò un cambio di paradigma nel quale i parametri e gli obiettivi non siano solo quelli dell’efficienza, della standardizzazione dei risultati, della riduzione delle risorse impiegate, così come avviene attualmente, introducendo il concetto di una medicina di comunità, i cui parametri di valutazione non siano soltanto quelli riferiti ai singoli individui ma anche alla collettività locale, in termini di servizi e di benessere psico-fisico diffuso socialmente. In un tale paradigma il ruolo di un possibile “Dipartimento della Medicina del territorio” costituito da medici, infermieri, psicologi di famiglia , diventerebbe centrale perché rappresenterebbe non la porta di accesso alle prestazioni di un Servizio sanitario ma il terminale finale di un Sistema sanitario, con il compito di dare risposte personalizzate, sostenibili, appropriate non solo per i singoli assistiti ma per l’intera comunità che li comprende, partendo dalla famiglia e via via allargando alla scuola, ai luoghi di lavoro, a quelli di svago e di aggregazione sociale.