Chi se non il “pubblico” può e deve svolgere questo lavoro di riallineamento degli interessi “privati” presenti nelle filiere assistenziali su obiettivi di salute generali? Chi se non il “pubblico” ha i dati e la visione di insieme per svolgere analisi di “stratificazione dei bisogni di salute”? Chi se non il “pubblico” può elaborare e proporre policy di “medicina di popolazione”, di “medicina di comunità”, di “medicina di prossimità” e di “continuità assistenziale”?
di Giorgio Banchieri e Andrea Vannucci
Prosegue l’aumento della spesa sanitaria italiana; quella pubblica ha toccato quota 129,2 mld cui vanno sommati altri 40 mld di spesa out of pocket per arrivare ad un totale di quasi 170 mld. Lo dice un recente rapporto della Ragioneria Generale dello Stato sulla spesa sanitaria che segnala anche che i conti delle regioni vanno male, tanto che vedono aumentare il disavanzo (ante coperture) a 1,4 miliardi. Nonostante ciò la rinuncia alle cure si aggrava nelle fasce sociali svantaggiate, raggiungendo il 37% tra coloro che riferiscono di avere molte difficoltà ad arrivare alla fine mese con le risorse di cui dispongono.
A fronte a questa situazione, che vede il servizio sanitario pubblico “in affanno” nel mantenere quei risultati che da decenni lo hanno visto all’apice delle graduatorie internazionali, da più parti ci si interroga sulla opportunità, e quindi i benefici ed i rischi possibili, di prevedere nuovi rapporti ed equilibri tra erogatori pubblici e privati.
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